Enter your keyword

Struttura e regole della fototeca

Paolo Russo, Marcello Rinaldi, Gilberto Santucci, Alberto Stella

UNA FOTOTECA DIGITALE PER LE SCUOLE DELL’UMBRIA

La Fondazione Sant’Anna di Perugia, istituto culturale per le scuole dell’Umbria, ha costituito negli ultimi anni un archivio digitale riguardante foto ed illustrazioni delle scuole e delle istituzioni educative dell’intera Regione, nell’ambito di un lavoro più generale e la promozione di studi per la valorizzazione delle memorie e dei patrimoni culturali delle scuole.

La fotografia, infatti, nell’opera di ricostruzione della vita scolastica e dell’uso dei diversi sussidi per l’insegnamento, si offre come fonte particolarmente preziosa rimandando all’immagine della materialità della scuola, con gli studenti immersi nella concretezza dello stare a scuola, alle prese con attività didattiche, esercizi, spiegazioni.

Attraverso le fotografie scattate nelle scuole è possibile, infatti, ricostruire e integrare la storia dell’istituzione, fatta di decreti, delibere e circolari, con quella degli studenti e dei docenti, attraverso i loro volti, l’atteggiamento e, perfino, l’abbigliamento, i materiali didattici e le mode del momento. La scuola come luogo di intimità collettiva, narrazione e paesaggio di momenti fondamentali intere generazioni.

La Fondazione Sant’Anna ha inteso costituire quindi una fototeca che possa essere facilmente accessibile, anche per uso didattico, a tutte le scuole della Regione, allo stesso tempo una fototeca delle scuole per completare l’iniziativa editoriale della collana dedicata: “Per una storia delle istituzioni educative in Umbria”, promossa dalla stessa Fondazione S. Anna di Perugia, da Proteo Faresapere Umbria e dall’associazione culturale “Il Cerchio Educativo”.

Il prof. Mario Tosti, nel presentare la collana di studi sosteneva infatti che

Poco si conosce ancora della storia delle istituzioni educative regionali. Non mancano certo puntuali ricostruzioni dell’impatto sul tessuto educativo regionale delle diverse leggi che, dall’Unità fino all’età repubblicana, hanno modellato il tessuto scolastico del territorio, con particolare attenzione all’istruzione primaria e secondaria, ma anche a quella professionale e tecnica.  Complessivamente, si tratta di studi interessanti, ben documentati, a volte eruditi, ma la sensazione prevalente è che siano studi spesso originati da ricorrenze, celebrazioni, privi di un respiro generale, in grado di delineare una storia della scuola strettamente connessa ai processi economici, sociali, culturali e politici che hanno trasformato la società regionale e di cui le istituzioni educative sono state certamente fattori di mutamento.

Ne esce un quadro frammentato, che presenta, in generale, una visione verticistica dell’istituzione educativa, che ignora il valore della ricerca interdisciplinare nel campo della storia delle istituzioni scolastiche, l’unica in grado di creare le condizioni per comprendere storicamente il ruolo dell’istituzione nel favorire le condizioni per lo sviluppo ed il progresso personale, culturale, economico e civile di una comunità. Da questa consapevolezza, nasce questa iniziativa che non vuole essere una semplice ricostruzione della storia dell’istruzione in Umbria, ma configurarsi come una vera e propria operazione di salvaguardia e valorizzazione di un aspetto non secondario del suo patrimonio culturale.

Negli studi ospitati in questa collana, dunque, la scuola e gli studenti, i maestri e la didattica, insieme alle teorie pedagogiche, resteranno al centro, ma indagati con una prospettiva “dal basso”, collocando le istituzioni educative nel più ampio contesto della società locale e mettendo in evidenza le strette relazioni tra scuola e istituzioni, alunni e contesto economico e produttivo, programmi scolastici e capacità di adattamento di essi ai bisogni locali.

Un particolare filone di ricerca sarà dedicato al recupero e alla valorizzazione degli archivi scolastici, nella consapevolezza che molti archivi di scuole ed istituti di istruzione dell’Umbria, soprattutto quelli di più antica istituzione, attendono di essere esplorati, dopo naturalmente necessarie operazioni di sistemazione e riordinamento, per scoprire e ricostruire tante storie e verificare possibili collegamenti tra la diffusione dell’istruzione e i livelli dello sviluppo economico-sociale della regione. L’obiettivo di questa nuova collana di studi sarà quello di sollecitare un rinnovato interesse per la scuola e le istituzioni educative, con il fine civico di alimentare in tutti (politici, cittadini, operatori della scuola) la consapevolezza che una modernizzazione senza istruzione e cultura rischia di far durare sottosviluppo e marginalità”.

In questa prospettiva si vorrebbe valorizzare anche lafotografia di classe come “documento storico”, infatti, è divenuta nel tempo una sorta di rito al quale quasi tutti gli studenti hanno partecipato. In aula, di fronte all’ingresso delle scuole, nei cortili, nei laboratori, in palestra. Consiste nello scattare una foto di gruppo degli studenti che frequentano una determinata classe ogni anno e offrire loro questa foto come souvenir. Negli anni questa tipologia d’immagine è divenuta anche un modello fotografico, attraverso il quale è possibile determinare anche atteggiamenti didattici e modalità pedagogiche.

In quanto tale appare, in Francia, e contemporaneamente nella maggior parte dei paesi occidentali, al più presto all’inizio degli anni ’60 dell’Ottocento, quando il progresso tecnico della fotografia poteva accorciare sufficientemente i tempi della fotografia, e coincise in Italia con la nascita e lo sviluppo del sistema d’istruzione pubblico in seguito alla legge Casati. Gli scatti venivano effettuati all’aperto per sfruttare al massimo la luce del giorno.

La foto di classe è divenuta un fenomeno sociologico e storiografico che colpisce il campo scolastico, ed è, quindi, un documento il cui studio consente un gran numero di osservazioni e in assenza di notifiche dirette della sua data o della sua origine, si possono trovare indizi che consentono di localizzare un tempo approssimativo, come:

  • Il costume dei bambini si evolve gradualmente, l’abito da marinaio compare intorno al 1890, le scarpe sostituiscono gli stivali, i pantaloni da golf sono tipici degli anni ’30 unitamente alle divise paramilitari fasciste. La proporzione di studenti con gli occhiali, praticamente inesistenti prima del 1920, sta diventando sempre più importante negli anni successivi.
  • L’atteggiamento e la teatralizzazione della posa si evolve: molto ieratica, severa e costretta nell’aspetto, si addolcisce gradualmente e il sorriso appare dopo il 1945. Già negli anni ’60 l’individualizzazione e l’originalità dell’abbigliamento dello studente, liberato dal grembiule, viene improvvisamente espresso in varie modalità dopo il 1968.

Ancora oggi, il termine dell’anno scolastico, quando in ogni scuola gli allievi hanno ormai trascorso buona parte dell’anno insieme, è vecchia consuetudine che un fotografo si presenti per chiedere di poter ritrarre gli studenti.

Pochi sono gli insegnanti che si sottraggono al rito e così le varie classi vengono accompagnate nel cortile o davanti all’ingresso della scuola dove il professionista della foto-ricordo dispone sapientemente il gruppo.

Ai più piccoli viene imposta la presenza in prima fila e gli “spilungoni” vengono ricacciati in fondo, è altrettanto vero che la disposizione non è mai casuale: gli amici si cercano, gli emarginati e i rompiscatole vengono spinti al margine.

La posizione dell’insegnante ci suggerisce molte considerazioni sul rapporto che lo lega agli alunni. Si potrebbe addirittura tentare una ricostruzione della storia della didattica attraverso queste immagini. Dapprima, nelle fotografie di fine Ottocento, l’insegnante è seduto come un principe al centro del gruppo; poi in piedi, alle sue spalle, come guida di protezione paterna; più tardi ancora lo vediamo al fianco della classe come un tenente che presenti la compagnia; oggi poi addirittura spesso assente dall’immagine.

Anche l’atteggiamento dei ragazzi e l’abbigliamento (per un certo periodo la divisa) sono mutati nel tempo. La dignità della posa e l’attenzione all’obiettivo del fotografo sono oggi quasi scomparsi per lasciare il posto ad un allegro disordine. In qualsiasi modo si presentino la fotografia e i soggetti che vi sono ritratti la funzione dell’immagine è sempre quella di un tempo: fornire la documentazione dell’unità del gruppo. Ogni individuo ha la possibilità di riconoscersi positivamente integrato attraverso la rassicurante compatta visione dell’insieme.

Tutti si identificano nel gruppo e all’interno di esso, ciascuno propone la particolare individualità attraverso l’atteggiamento personale. La fotografia dimostra in questo suo uso una caratteristica che le è propria: quella di essere strumento e indice di integrazione sociale. Strumento in quanto ogni elemento dell’insieme è consapevole che quella sarà la rappresentazione ufficiale che il gruppo fornisce di se stesso; perché l’individuo, attraverso l’immagine, avrà la possibilità di constatare le relazioni che lo legano a particolari gruppi di amici; perché l’esibizione della fotografia costituisce la dichiarazione del proprio status.

Indice, in quanto la lettura degli atteggiamenti, dell’abbigliamento, delle distanze interpersonali, della postura più o meno consapevolmente assunta in maniera identica per tutti o differente per ognuno, è in grado di suggerirci quale sia la dinamica dei rapporti all’interno del gruppo o quali relazioni lo leghino al resto della società.

In campo accademico, Christine Charpentier ha redatto uno degli studi più dettagliati dalle informazioni esplicite o implicite contenute nelle foto di classe. Cronologicamente, dalla loro composizione materiale: scelta del luogo delle riprese, messa in scena e pose degli studenti, evoluzione dei costumi e sociologicamente, per la stessa città e allo stesso tempo, dal confronto delle differenze visibili tra enti pubblici e privati scuole o tra distretti diversi della stessa località[1].

La fotografia, nell’opera di ricostruzione della memoria della vita scolastica e delle modalità di apprendimento appare come fonte preziosa perché ci rimanda l’immagine della materialità delle scuole e del fare scuola. Una “traccia del passato nel presente”, secondo la definizione di Peter Burke[2]. Rispetto agli oggetti conservati nei vari musei dedicati alla scuola, – anche in Umbria ve n’è uno, quello di Castelnuovo di Assisi, ora in fase di ristrutturazione – la fotografia ha la caratteristica di mostrare oggetti e atteggiamenti nel preciso contesto scolastico del tempo in cui è stata realizzata, ci rimanda, ad esempio, l’immagine degli “scolari” immersi nella materialità dell’aula scolastica e degli oggetti utilizzati nell’insegnamento, magari alle prese con concrete attività didattiche, esercizi, spiegazioni. Studenti di periodi ed epoche diverse che, forese anche al di là delle intenzioni del fotografo, svelano qualcosa di loro stessi e dei loro atteggiamenti: ansia, curiosità, noia…

Certamente, anche la fotografia è una fonte incompleta[3], una fonte che spesso racchiude una storia complessa, legata ad esempio dalle intenzioni della committenza, l’occasione e il messaggio che intenzionalmente si voleva conservare e trasmettere, e quindi da leggere senz’altro in maniera critica, al di là dell’immediatezza dello scatto stesso. Citando le conclusioni di Ortoleva nell’opera appena citata, la foto “se da un lato è potenzialmente feconda, dall’altro risulta difficile da manipolare”, ed in particolare le fotografie scolastiche debbono essere interpretate a più livelli, sia sul piano delle “informazioni” dirette che si ricavano – ad esempio arredi d’aula, abiti degli alunni, ecc. – e sia sul piano più complesso delle “rappresentazioni”, legate all’immagine che si voleva dare  della realtà in una determinata situazione sincronica di spazio e di tempo. Le foto, infatti, rappresentano generalmente una “scuola in posa” che fa “mostra di sé”. È più difficile trovare immagini di denuncia, documentaristiche, che descrivano criticità e dissensi rispetto alle linee istituzionali, a vari livelli. Basti accennare ai fortissimi divari tra scuole urbane e scuole rurali, spesso “ignorati” dall’occhio della macchina. Una fonte, del tutto simile ad altre fonti storiche, da leggere e da mettere in relazione ad altre fonti coeve, come registri scolastici, relazioni dei maestri, autobiografie, ecc. In modo ad individuare meglio gli elementi ricorrenti e comuni a più fonti.

Anche la fotografia richiede quindi una lettura attenta e raffinata, capace, ad esempio, di cogliere non solo i soggetti in primo piano, ma anche i dettagli, talvolta ricchi di informazioni per la storia dell’educazione. Magari proprio quei particolari che non era nell’intenzionalità del fotografo mettere in primo piano, ma che rimandano all’autentica realtà scolastica e quindi al vissuto dei bambini e dei ragazzi.

Cogliere i dettagli permette di focalizzare gli oggetti presenti, come ad esempio sulle carte parietali o sui cartelloni appesi alle pareti ed usati in quella determinata classe, permettendo di cogliere i riferimenti culturali utilizzati dagli insegnanti; oppure sulle rappresentazioni grafiche degli allievi che svelano le tecniche che volevano essere insegnate; sulle cartine geografiche, sugli alfabetieri che rivelano le metodologie per l’apprendimento della scrittura e sugli stili calligrafici. Il particolare permette di cogliere anche i gesti degli allievi e degli insegnanti che documentano nel tempo, rimandando di generazione in generazione, la profonda sedimentazione dell’andare a scuola, del fare scuola.

La fonte fotografica, insomma, può divenire un prezioso sguardo sul mondo dell’educazione e dell’apprendimento e di scandagliare, intrecciando le informazioni con altre prospettive d’indagine, i diversi volti dell’istituzione scolastica, tra essere e dover essere, tra realtà e rappresentazione, tra continuità e cambiamento, fino al tempo presente.

Nella realizzazione di una fototeca “umbra” delle realtà scolastiche, per il “gruppo di progetto”, è stata fonte di ispirazione primaria l’esperienza della raccolta oltre 14 mila scatti conservati nella fototeca storica di INDIRE che rappresenta uno straordinario bacino d’informazione sulla scuola dell’intero Paese[4]. Come sottolineato dalla responsabile dell’archivio fiorentino, si tratta di una “ricca panoramica sulla scuola italiana” che si articola in “una prima fase immediatamente post-unitaria, ove la fotografia rappresenta una scuola pubblica che persegue l’obiettivo fondamentale della costruzione dell’identità culturale e linguistica della nazione; una seconda fase (la più rappresentata nell’archivio di INDIRE), quella fascista, ove la scelta forte circa il mezzo fotografico  è tesa al rafforzamento dell’idea di una piena adesione tra scuola e regime… Fino ad una terza fase, corrispondente cronologicamente al periodo post bellico, in cui il mezzo fotografico , sovente con un taglio di minore ufficialità, attesta un rinnovamento del sistema scolastico nazionale in senso sia quantitativo che qualitativo”[5].

L’ingente acquisizione del materiale fotografico è stata possibile, grazie ad una campagna di sensibilizzazione con articoli giornali, servizio televisivi di presentazione progetto e inviti a comunicare la presenza di raccolte private; lettere circolari alle scuole, ecc.

Criteri generali per la costituzione della fototeca e per la sua indicizzazione

Il lavoro di sensibilizzazione su tutto il territorio regionale e successivamente di acquisizione di oltre 6.000 ha seguito sia criteri generali di archiviazione delle immagini sia l’applicazione di standard di conservazione, riordinamento e catalogazione della collezione fotografica relativa alle scuole umbre. È necessario sottolineare che non esiste un unico criterio di riordinamento, catalogazione e indicizzazione per tutte le tipologie di raccolte, fototeche ed archivi; infatti, a seconda della tipologia delle istituzioni in cui sono conservate le raccolte, della natura stessa del patrimonio, della tipologia dell’utenza, ecc. si potranno avere approcci e soluzioni differenti.

Anche i rapidi progressi della tecnica fotografica e dell’informatica possono dettare metodologie differenti.

Le immagini digitali saranno archiviate su un apposito repository installato su un server ospitato all’interno della Fondazione, al quale è garantito un accesso controllato per motivi di studio e ricerca. Parte delle immagini potrà essere pubblicata sul sito [https://www.istitutosantanna.com/] come parte delle attività di studio, ricerca e divulgazione della Fondazione nel rispetto dei diritti conferiti dai titolari delle immagini originali. Tale repository è indicizzato non per singola istituzione scolastica, bensì sulla base delle circoscrizioni territoriali dell’Umbria.

Per l’elaborazione della scheda di indicizzazione si è seguito il modello utilizzato per la fototeca dell’INDIRE di Firenze richiamata più sopra e che si può esemplificare con il seguente schema: a. Titolo (descrizione sintetica);  b. Categoria: distinzione  tra: “foto di classe”, “edificio scolastico”,  “personale scolastico”, “attività didattica”, “paesaggi e vedute”; c. Collocazione e n. progressivo inventario; d. attribuzione del Fondo: Istituto scolastico, nome del proprietario o del conservatore, ecc.; d. Data o periodo per quanto possibile; e. eventuali note di contenuto o sul fondo di appartenenza; f. qualità dell’immagine.

Policy della digitalizzazione e del caricamento nel repository del sito web della Fondazione

la Fondazione ha rispettato le regole per il diritto d’autore e in generale le policy che gli enti conferenti indicate nell’atto di conferimento, indicandole espressamente in ogni immagine pubblicata nel proprio sito web.

Per le immagini non coperte da copyright è consentita, a titolo gratuito, la libera riproduzione di parti delle immagini purché a bassa risoluzione, per uso personale, didattico o scientifico e in ogni caso a condizione che tale utilizzo non sia per fini illeciti o per scopi di lucro. Per questa tipologia si ricorrerà alle licenze Creative commons per un utilizzo non commerciale

Per il rispetto delle normative sulla privacy. La fototeca storica delle istituzioni educative dell’Umbria è costituita utilizzando immagini di pubblico dominio, ovvero quelle per le quali siano trascorsi almeno 70 anni dalla morte dell’autore o per le quali sia applicabile la normativa prevista per la Legge 22 aprile 1941, n. 633: Art. 97: 

Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici e culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro della persona ritrattata.

Digitalizzazione e caricamento nel repository

Digitalizzazione e caricamento nel repository hanno determinato – allo stesso tempo – anche un’inventariazione generale del materiale che mano mano veniva acquisito da istituzioni, singoli, scuole e privati e un ingresso delle immagini stesse nella fototeca della Fondazione. In alcuni casi è stato necessario un atto di autorizzazione alla riproduzione da parte dei proprietari delle collezioni o anche di singoli e sia una condivisione delle regole afferenti alla cosiddetta privacy a cui attenersi per l’utilizzazione delle immagini (Licenza Creative commons per un utilizzo non commerciale).

Occorre precisare che un primo criterio seguito è stato quello di rispettare la storia, i criteri, le finalità e le tendenze culturali che hanno generato la conservazione di materiale fotografico donato alla Fondazione, sia a cura di privati cittadini che di enti; aspetti questi che con il passare del tempo diventeranno sempre più elementi significativi dell’archivio e del materiale in esso contenuto, potranno offrire, infatti,  testimonianza dell’attività di chi ha creato il documento stesso e di chi l’ha custodito. Il primo criterio è stato quindi quello di rispettare l’integrità dei fondi da cui provenivano i materiali.

La descrizione dei fondi di provenienza è stata desunta da semplici dati anagrafici:

  • Periodo di raccolta del materiale
  • Provenienza dei materiali
  • Quantità
  • Tipologia delle immagini conservate

Questi elementi, unitariamente, hanno concorso a definire la storia del Fondo, evidenziandone l’incremento e l’accrescimento nel tempo.  E quindi, materiali acquisiti in fase di riordinamento hanno potuto conservare il legame con il fondo di provenienza

Dal materiale è stata tratta una prima mostra dal titolo è stata inaugurata nella sede della Fondazione il 28 marzo 2025, nell’ambito di un progetto più generale “Sant’Anna – Hub per la cultura digitale”. La mostra fotografica “L’Umbria in classe” realizzata con immagini tratte dall’Archivio fotografico digitale delle scuole umbre è stata curata da Gilberto Santucci e Paolo Russo. Si tratta, quindi, di istantanee che abbracciano quasi cento anni di storia dell’Umbria. Si ritrovano scolaresche alla fine dell’anno scolastico, laboratori, edifici scolastici, aule e attività culturali che hanno caratterizzato nel tempo le comunità scolastiche in cui si sono trovati ad operare maestri, insegnanti e studenti passati.

La raccolta delle foto scolastiche vuole mettere a disposizione delle Scuole strumenti e materiali per aiutarle a coltivare e a sviluppare le proprie capacità narrative anche sul piano didattico. Come sostiene Howard Gardner “gli aspetti narrativi sono importanti perché sollecitano contemporaneamente diverse intelligenze, soprattutto quella collettiva che è anche memoria della comunità”.

L’architettura dell’Archivio Fotografico delle Scuole dell’Umbria

Il primo passo per la salvaguardia della memoria è la sostenibilità della raccolta dei memorabilia. Questo principio ha ispirato la realizzazione dell’Archivio Fotografico delle Scuole dell’Umbria da parte della Fondazione Sant’Anna. Un archivio che al momento contiene più di 8.000 foto dalla metà dell’Ottocento ad oggi.

L’articolo spiega le scelte tecniche effettuate in funzione della volontà di abbassare quanto più possibile le barriere tecnologiche di ingresso alla numerizzazione, meta-datazione e consultazione delle foto scattate nelle scuole umbre dalla metà dell’Ottocento fino ad oggi.

Scopo

L’Archivio Fotografico delle Scuole dell’Umbria nasce per volontà della Fondazione S. Anna con uno scopo ben preciso: creare uno strumento agile di facile consultazione e ancor più facile aggiornamento, che consenta di salvaguardare la memoria dell’evoluzione della società e del sistema educativo in Umbria dalla metà dell’Ottocento ad oggi. Il requisito primario è la semplicità di acquisizione come caratteristica più desiderabile nella lotta contro il tempo per impedire la dispersione di un inestimabile patrimonio di memorie. Ciò non vuol dire sottovalutare o, addirittura, negare il valore di una rigorosa meta-datazione scientifica, ma prendere realisticamente atto delle capacità operative e definire di conseguenza le priorità della Fondazione. I cassetti di tantissime organizzazioni sono pieni di archivi digitali di grandissimo valore scientifico, ma abbandonati, perché richiedono costi troppo elevati o competenze troppo specifiche per il loro aggiornamento.

Requisiti funzionali e non funzionali

Lo studio dell’architettura del sistema si è basato su una analisi dei requisiti funzionali e non funzionali guidato dal criterio della sostenibilità nel tempo della sua gestione. Da questo punto di vista si è trattato di un vero e proprio progetto di digitalizzazione e non di semplice numerizzazione: il prodotto finale non è una semplice collezione di “fotocopie” digitali di oggetti, ma un nuovo processo interno alla Fondazione, costruito intorno alle peculiarità e alle potenzialità proprie di costrutti digitali, nel caso specifico foto digitalizzate.

I requisiti funzionali individuati sono quelli classici per un archivio fotografico: creazione, modifica, cancellazione e ricerca di record di informazioni su una foto; creazione, modifica, cancellazione e ricerca di raccolte di foto; gestione degli utenti con diversi privilegi di accesso; gestione delle preferenze per l’interfaccia. Inoltre, l’archivio deve essere in grado di gestire alcune decine di migliaia di fotografie.

Più rilevanti e interessanti sono i requisiti non funzionali.

Ci si è già soffermati sulla importanza di poter effettuare le operazioni di aggiornamento dell’archivio in autonomia da parte del personale della Fondazione, senza dover ricorrere a tecnici informatici o archivisti professionisti per navigare nelle complessità dell’archivio. Oggi, e questo è il secondo requisito centrale, la priorità è quella di essere in grado di raccogliere ed effettuare una prima, semplice classificazione di foto provenienti dalle fonti più disomogenee e disparate in modo che ne resti traccia storica, prima che lo scorrere del tempo le faccia sparire nell’oblio per lo svuotamento della cantina di un caro defunto o la smagnetizzazione di un disco di dieci anni fa.

Terzo requisito, la facilità di consultazione da parte di chiunque: il ricercatore esperto così come lo studente di una scuola superiore.

Tutti questi requisiti orientati alla semplicità e alla sostenibilità hanno trovato un indispensabile bilanciamento nella richiesta di realizzare un sistema che fosse comunque aperto ad estensioni che implementassero funzionalità e strutture di dati caratteristiche delle raccolte scientifiche in un secondo momento.

Ultima, ma non meno importante, la richiesta che il sistema, inteso come l’insieme del software e dei dati, restasse nella piena disponibilità della Fondazione, senza dover dipendere da terzi per l’implementazione di futuri sviluppi o gravare sul bilancio della stessa con costi ricorrenti non controllabili.

La scelta della piattaforma

La lista dei requisiti ha innanzitutto ristretto la ricerca alle piattaforme open source, le uniche che garantiscano la totale disponibilità nel tempo del sistema di archiviazione. Fortunatamente, in questo settore esistono diverse alternative di qualità e, tra queste, alla fine è stata selezionata la piattaforma Piwigo (https://piwigo.org) in quanto:

•        Open Source;

•        Presente sul mercato da oltre vent’anni e con una buona storia di sviluppo e soprattutto attenzione e tempestività nella manutenzione della piattaforma;

•        L’interfaccia è un po’ datata nello stile e nel concept, però è molto consistente e intuitiva. Tutte le funzionalità di reale interesse per la Fondazione sono presenti e molto mature nello sviluppo. Questo aspetto ha fatto preferire Piwigo a soluzioni più giovani come, per esempio, Photoprism o Immich, che presentano una interfaccia più moderna ed interessanti esperimenti nell’uso di tecniche di intelligenza artificiale per la classificazione automatica, ma ancora pagano dazio a livello di affidabilità e di completezza delle funzionalità di base.

•        Espandibile sia tramite una ricca libreria di plugin gratuiti che rispondono a esigenze diffuse sia tramite lo sviluppo di estensioni personalizzate in linguaggio PHP, ben conosciuto e per il quale esiste una vasta platea di programmatori.

•        Offre un meccanismo molto semplice di backup e trasferimento dei dati attraverso il salvataggio delle foto in cartelle. Il trasferimento dei metadati richiede l’intervento di un tecnico per effettuare una esportazione e importazione delle tabelle del database MariaDB che li contiene, ma è una operazione in sé banale.

•        Essendo sviluppato in PHP e appoggiandosi al database MariaDB, Piwigo è istallabile praticamente in qualunque ambiente operativo dove possa funzionare un webserver, dal cloud al mini-pc in rete locale. Questa duttilità è accresciuta ulteriormente dalla disponibilità di versioni “containerizzate” di Piwigo altamente scalabili che possono essere attivate in ambienti Docker o Kubernetes.

Impianto e aggiornamento del database

L’obiettivo del presente articolo non è quello di essere un manuale utente, quanto piuttosto di fornire spunti per aiutare ad effettuare consapevolmente le scelte architetturali critiche da parte di organizzazioni simili alla Fondazione in contesti analoghi. Pertanto, in questo paragrafo e nei successivi si procederà semplicemente ad evidenziare le funzionalità attivate e le motivazioni per la loro scelta o implementazione.

La fase più delicata dello sviluppo dell’Archivio Fotografico delle Scuole Umbre è il suo impianto iniziale, dove sono state effettuate e implementate tutte le scelte critiche.

Per cominciare, Piwigo offre la possibilità di configurare nel dettaglio l’interfaccia. In questo caso, però, l’intervento è stato volutamente contenuto all’offerta di alcuni default, come quello della lingua italiana al posto di quella inglese, e del tema Elegance, ritenuto una base di partenza molto ordinata e chiara per le personalizzazioni da parte dell’utente. Da citare la scelta di ridurre allo stretto minimo necessario i metadati che appaiono automaticamente in fase di consultazione.

Più delicate le successive scelte per la gestione degli utenti. Piwigo offre un sistema di controllo degli accessi a matrice, che consente di decidere il livello di privilegi concessi a ciascun utente – da semplice ospite fino ad amministratore – e granularmente se esso possa accedere o no ad ogni singolo album creato. Per evitare una eccessiva ripetitività nelle operazioni di definizione degli utenti, è possibile da un lato decidere che un album sia pubblico e, quindi, visibile da tutti e dall’altro creare dei gruppi con privilegi predefiniti che vengono automaticamente acquisiti dagli utenti ad essi assegnati.

In questo contesto, per l’Archivio Fotografico delle Scuole Umbre sono state effettuate due scelte che vale la pena di commentare. Anche se tecnicamente sarebbe possibile lasciar consultare le foto da un generico utente Ospite, a livello procedurale sarà sempre creato un utente associato univocamente a chi effettua la consultazione in maniera da poter sempre risalire all’utente attraverso i log del sistema in caso di utilizzi impropri. Inoltre, una specifica categoria di album è stata resa visibile solo agli amministratori di sistema e ai curatori. È la categoria degli album divisi per origine. Questo argomento porta alla spiegazione della scelta architettura più significativa dell’AFSU.

L’Archivio deve raccogliere foto di origine estremamente eterogenea, che va da veri e propri fondi curati scientificamente resi disponibili da biblioteche o altri istituti culturali fino a manciate di fotografie provenienti dai cassetti di ex-studenti e insegnanti o dei loro discendenti. Piwigo offre due funzionalità semplici da padroneggiare, ma molto potenti quando combinate tra loro che consentono di gestire al meglio la eterogeneità delle fonti. La prima funzionalità consiste nella possibilità di creare e aggiornare album attraverso una funzione di sincronizzazione tra il database e un sistema di cartelle. In pratica, si può organizzare la struttura dell’archivio in cartelle e sottocartelle come si farebbe nel file manager del proprio personal computer per archiviare le foto. Piwigo permette di replicare automaticamente la struttura a cartelle dentro il database, creando un album o un sotto-album in corrispondenza di ciascuna cartella o sotto-cartella e caricando automaticamente i meta-dati che già accompagnino le singole foto. In questo modo, anche un utente a digiuno delle competenze necessarie per la gestione di un database relazionale come MariaDB ha la possibilità di strutturare la banca dati in maniera elementare, classificando le foto in base alla loro origine. Inoltre, Piwigo offre la possibilità di creare infiniti album virtuali nidificati. Questo vuol dire poter creare altre strutture logiche di classificazione album-cartella ed assegnare ad esse le foto già caricate nel database senza doverle duplicare o muovere dalla cartella-album attraverso la quale sono state aggiunte alla banca dati. In pratica, le foto vengono memorizzate nel database caricandole automaticamente dalle cartelle organizzate per fonte e questo rende facile rintracciare eventualmente la loro origine. Fatto questo, il curatore ha la possibilità di creare tutte le classificazioni che ritenga utili per facilitare la ricerca e di assegnare virtualmente ciascuna foto a tutti gli album ai quali appartenga dal punto di vista logico. Un esempio aiuterà a capire.

L’Archivio Fotografico delle Scuole Umbre oltre all’album Categorizzazione per Fondo che si sincronizza con le cartelle che contengono fisicamente le foto sul disco del server è stato arricchito con gli album virtuali Categorizzazione per Area Territoriale e Istituto, Categorizzazione per Periodo e Categorizzazione per Tema. L’album virtuale Categorizzazione per Area Territoriale e Istituto è suddiviso per località (Perugia, Terni, Todi, Foligno, Amelia, Valentina, ecc.) e ogni località è a sua volta suddiviso in sotto-album che corrispondono alle scuole di quel territorio. La Categorizzazione per Periodo consente di classificare le foto assegnandole a periodi storici di riferimento che vanno da Fine Ottocento fino a Inizio XXI Secolo. La Categorizzazione per Tema consente di classificare le foto in base a caratteristiche quali foto di classe, attività scolastiche, gite scolastiche, personale e corpo docente, arredi, architettura, materiali didattici. Tutte classificazioni che potranno essere raffinate, modificare ad aggiornate facilmente in futuro senza andare ad intaccare l’archiviazione di base delle immagini.
L’impianto dell’archivio è avvenuto andando ad esaminare una per una le oltre 8.000 foto caricate negli album della Categorizzazione per Fondo e assegnandole anche agli album virtuali ritenuti pertinenti. In parallelo, i curatori hanno proceduto a verificare o inserire alcuni metadati fondamentali per andare a complemento della classificazione per album virtuali già vista. Precisamente, la data dello scatto e le dimensioni in pixel delle immagini. La prima è ovviamente importante per poter applicare filtri temporali alle ricerche. È stato possibile datare con precisione all’anno circa 2.500 foto delle 8.000 acquisite. La risoluzione in pixel è di immediata utilità per selezionare le foto di qualità sufficiente per poter essere stampate su manifesti o all’interno di una pubblicazione.

Uno dei punti di forza di Piwigo è la presenza di strumenti di amministrazione e gestione delle foto molto raffinati. Gli utenti con privilegi di amministratore o curatore possono accedere a una sezione riservata dove viene consentito loro di impostare un filtro di selezione (per album, per tag, per data, ecc.) e agire in modifica su tutte le foto trovate. La modifica può avvenire in modalità globale, applicando a tutte le foto trovate comandi che consentono, per esempio, di cambiare la loro data, o assegnarle ad uno specifico album, o assegnare/rimuovere una specifica etichetta. Nella maggior parte dei casi, però, il curatore deve andare ad intervenire foto per foto. In questo caso, è disponibile la modalità singola, che permette di vedere in una pagina fino a 50 schede di foto con tutti i loro metadati e modificarli direttamente.

La consultazione del database

Naturalmente, l’archivio è stato costruito per essere consultato e il sistema offre un ricco insieme di funzionalità riservate ai visitatori.

Per scelta progettuale i visitatori non autenticati hanno accesso a un sottoinsieme molto limitato di foto archiviate in cartelle pubbliche. In sostanza, questa è una funzionalità a supporto di servizi integrati che accedono al database, come, per esempio, la galleria virtuale in realtà aumentata, installata nel Chiostro della Fondazione.

Qualunque utente registrato che acceda all’archivio attraverso il server presente nella Fondazione ha la possibilità di:

•        Ricercare le foto per parola chiave, testo libero nelle descrizioni, data di scatto della foto;

•        Navigare nella struttura ad album e sotto-album descritta nella sezione precedente per individuate le foto di interesse sulla base della loro appartenenza ad una area territoriale e a un istituto scolastico, del periodo in cui sono state scattate e della loro natura. Particolare rilievo è dato alle foto di classe per la loro rilevanza come testimonianza dell’evoluzione della società e dei costumi.

•        Visualizzare le foto alla massima risoluzione disponibile e consultare tutti i loro metadati;

•        Avviare uno slide-show delle foto selezionate.

Le undici sezioni della mostra sulla memoria delle istituzioni educative dell’Umbria:

1. L’EDUCATORIO SANT’ANNA E GLI EDUCANDATI – Luoghi per l’istruzione femminile

Dal 1857 il complesso edilizio Sant’Anna ha ospitato, per volontà del cardinale Gioacchino Pecci, Il Collegio di Sant’Anna, Conservatorio Pio per ospitare le figlie delle famiglie nobili di Perugia per apprendere un’istruzione sia di livello inferiore che superiore, e sia una scuola elementare pubblica e gratuita per le fanciulle povere. Nel 1936 per effetto delle nuove leggi del Regno il Conservatorio Pio si trasforma in Regio Educandato femminile di Sant’Anna.

Gli Educandati, sono stati, e in alcuni casi ancora lo sono, “Scuole di formazione alla vita”, binomio unico nel suo genere, di antica e prestigiosa tradizione, unita ad un modello formativo innovativo e completo.

2. RADICI DI FUTUROLa raccolta fotografica delle scuole italiane dell’INDIRE di Firenze

La Mostra Didattica Nazionale del 1925, da cui ha origine l’Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa (Indire), nasce per offrire agli insegnanti la possibilità di toccare con mano l’innovazione a scuola. L’attivismo pedagogico cui si riferiva Giuseppe Lombardo Radice, principale promotore della Mostra, già allora tendeva alla preparazione di un ambiente didattico rinnovato che consentisse l’azione diretta sulla realtà dell’alunno, vista come elemento evolutivo più efficace dell’educazione di modello tradizionale.

Nella mostra della Fondazione Sant’Anna, grazie alla concessione di Indie, per la prima volta vengono mostrate le immagini scolastiche di alcune scuole della nostra Regione. Tali istantanee ci mostrano come anche in Umbria, al metodo d’insegnamento tradizionale, fondato principalmente sulla trasmissione del sapere da parte del docente, si è man mano affiancata la scuola del ‘fare’, ovvero quella la cui metodologia ha come fondamento l’attivazione dell’alunno attraverso lo svolgimento di attività concrete per stimolarne l’apprendimento e la crescita. La lezione non doveva essere eliminata, ma la si faceva con la ‘desiderata’ collaborazione degli alunni.

3. LA FOTO DI CLASSE – La fotografia di classe come documento della memoria educativa

La fotografia di classe è divenuta nel tempo una sorta di rito al quale quasi tutti gli studenti hanno partecipato. In aula, di fronte all’ingresso delle scuole, nei cortili, nei laboratori, in palestra. Consisteva nello scattare una foto di gruppo degli studenti che frequentano una determinata classe ogni anno e offrire loro questa foto come souvenir. Negli anni questa tipologia d’immagine è divenuta anche un modello fotografico, attraverso il quale è possibile determinare anche atteggiamenti didattici e modalità pedagogiche.

4. IL MUSEO DELLE SCUOLE UMBRE

Il museo, opera del prof. Antonio Mencarelli, che ne ha curato l’allestimento, e si riferisce alla scuola elementare e popolare umbra a partire dal periodo preunitario. Interessante la documentazione inerente il passaggio dalla gestione delle scuole elementari dallo Stato pontificio al nuovo Regno d’Italia.

Vi è ricostruita perfettamente un’aula scolastica degli inizi del Novecento. Possiede una serie, regolarmente funzionante, di lanterne magiche illuminate a gas acetilene e a luce elettrica (risalenti all’incirca al primo decennio del XX secolo), con diapositive a vetro in bianco e nero, cromotropi a colori di argomento astronomico, insieme ad altri proiettori per filmini didattici di ogni materia. Sono esposti, a muro e in bacheche oggetti scolastici di ogni specie: carte geografiche, manifesti, documentazione fotografica e illustrativa di momenti di vita scolastica, lungo l’arco di settanta anni, un piccolo museo di storia naturale, elaborati e disegni degli alunni, una copiosa raccolta di libri di lettura e di sillabari, di letteratura per l’infanzia e di film per ragazzi. I documenti più antichi risalgono al 1825, con le prove di calligrafia degli alunni delle scuole comunali di Bastia, riprodotti in copia. Il museo possiede inoltre una biblioteca specializzata per ricerche sulla storia della scuola e dell’illustrazione per bambini.

5. LE SCUOLE RURALI – Le piccole scuole di campagna

Con l’Unità, sotto la spinta della necessità di superare l’arretratezza culturale e il diffuso analfabetismo, prese forma l’idea delle scuole di campagna o rurali – definite così le scuole in località con un numero di abitanti inferiore alle 4 mila unità – più precisamente si classificavano scuole rurali, rispettivamente di prima seconda e terza classe, quelle istituite in territori con popolazione rispettivamente di 3.000, 2.000 e 500 abitanti) e si ebbe così un’apprezzabile estensione dell’istruzione elementare nei borghi e nelle campagne, e si poté così raggiungere una maggiore popolazione studentesca, proprio a beneficio di quel tessuto contadino che in gran parte costituiva il corpo del Paese.

6. L’ISTRUZIONE TECNICA (industriale, agraria e commerciale)

Il processo unitario culminò, per l’Umbria, con il plebiscito che sanciva l’adesione al Regno d’Italia; in questo scenario sociale di rapide trasformazioni, le nuove classi dirigenti posero immediatamente all’attenzione le criticità territoriali di un sistema formativo ormai non più adatto ad un “nuovo mondo”.

In particolare, nei diversi Stati del nostro Paese, l’agricoltura risultava ancorata a tecniche tradizionali e a precetti empirici, al di fuori delle cognizioni scientifiche, determinando una scarsa produzione e bassissima redditività. Con il tempo, per dare agli studenti una formazione specialistica già a livello medio, cioè nelle scuole tecniche che, inizialmente offrivano, come si è detto, soltanto una cultura generale, furono istituite delle scuole tecniche “speciali” con programmi differenziati nei vari indirizzi, fondamentalmente quello commerciale, agrario e industriale

7. Il SISTEMA DEI LICEI – Tradizione e istruzione umanistica

In origine in Italia contava un solo tipo di corso liceale, il ginnasio-liceo, della durata complessiva di 8 anni, istituito dalla legge Casati del 1859, che aveva ripreso e aggiornato, nello spirito laico-liberale del Risorgimento, una lunga tradizione delle scuole di grammatica, retorica e filosofia esistenti da tempo nel Paese. Successivamente, in tempi diversi, al liceo-ginnasio si sono aggiunti il liceo scientifico, il liceo artistico, il liceo linguistico, il liceo musicale e coreutico.

8. LA SCUOLA IN CAMICIA NERA – La scuola del Ventennio

Un partito e poi per un regime che si presentavano con i caratteri nuovi di una “religione politica” e perseguivano l’obiettivo di “rifare gli italiani”; dunque, con un progetto di “rivoluzione antropologica” che, attraverso la sacralizzazione della politica, mirava a diffondere credenze, valori e principi imperniati sulla mistica comunitaria e sulla rigenerazione morale.

La scuola fu indubbiamente la migliore occasione per il fascismo di educare gli italiani al nuovo corso della storia. L’azione venne condotta poco alla volta, a partire dalla riforma Gentile, approvata nell’aprile 1923, cui seguì una vera e propria fascistizzazione dell’istruzione portata avanti dai vari ministri che si succedettero alla Pubblica istruzione, poi Educazione nazionale. Nel gennaio 1929 fu introdotto il libro di testo unico e di stato per le elementari, il mese successivo ai maestri venne imposto il giuramento di fedeltà al regime e dal 1934 l’obbligo di indossare la divisa durante le cerimonie pubbliche. La reale riforma in senso fascista, tuttavia, si impose con la “Carta della scuola”, presentata da Bottai nel 1939, il cui obiettivo era di adeguare il sistema scolastico alle esigenze del potere e ai suoi dettami.

9. LA RADIO A SCUOLA (1924-1975)

La radio conobbe il proprio primo sviluppo a partire dal 1924, con la nascita del Ministero delle comunicazioni. Fu proprio grazie all’abile mediazione del ministro che, il 27 agosto 1924, si costituiva ufficialmente l’Unione Radiofonica Italiana.

Il 25 dicembre 1926, Elisabetta Oddone, una maestra elementare, prestava per la prima volta la propria voce ad un programma radiofonico per l’infanzia, trasmesso dalla sede di Milano e intitolato Il cantuccio dei bambini. L’anno successivo, l’URI cambiava la propria sigla in EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche e nel 1930 dava il via al nuovo organo di stampa ufficiale denominato Il Radiocorriere, dando seguito al messaggio espresso in modo esplicito da Mussolini: “Ogni paese deve avere la sua radio”; e se ogni città doveva avere il proprio apparecchio per l’ascolto radiofonico, le scuole furono subito individuate come sedi particolarmente adatte allo scopo: si trattava di luoghi presenti in gran parte del territorio e soprattutto erano gli enti riconosciuti per la formazione delle giovani generazioni.

Poco dopo avvenne la scelta di diffondere modelli economici in grado di entrare nel maggior numero di luoghi frequentati dagli italiani, come la “Radio Rurale” (prodotta dal 1933) e la “Radio Balilla” (prodotta nel 1937), segnalava l’obiettivo ben determinato di utilizzare il nuovo mezzo mediatico come strumento di propaganda di regime.

10. LE SCUOLE PER CONTADINI – Le Scuole Faina e la Scuola della Montesca del barone Franchetti

Nel corso del 1898 giungeva alle scuole l’impulso dato dal Ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, a introdurre l’insegnamento di alcuni elementi di agricoltura nelle scuole elementari italiane e a tal proposito auspicava la realizzazione dei cosiddetti «campicelli», vale a dire dei piccoli orti annessi alle scuole elementari di primo e secondo grado. A fronte di un accentuato disinteresse a livello generale, dall’Umbria nacquero invece due proposte fortemente caratterizzanti l’istruzione nelle aree rurali del Paese, le cosiddette: Scuole Faina, originate nel borgo di San Venanzo (TR) e alla Montesca e Rovigliano a Città di Castello, entrambe proposte da illuminati dell’aristocrazia agraria regionale, convinti della necessità di creare un sistema formativo rivolto ai giovani contadini che fosse maggiormente rispondente alle esigenze del mondo rurale e che fornisse un corredo di nozioni scientifiche e culturali di base superiore a quello fornito dall’insegnamento agrario ambulante.

11. ASILI, SCUOLE MATERNE, SCUOLE DELL’INFANZIA – La scoperta dell’infanzia

Alla fine del ‘700 nascono le “sale di custodia” e “presepi” rappresentarono il prototipo delle moderne scuole dell’infanzia anche se esse erano una sorta di baliato, il cui compito si esauriva nell’assistenza caritatevole dei bambini provenienti dai ceti economicamente svantaggiati, mentre le moderne scuole dell’infanzia. Nuovi metodi furono introdotti da Maria Montessori nel 1906 con le cosiddette “case dei bambini”. In esse veniva applicato il suo metodo che ebbe risonanza universale. Fu la prima a riconoscere la scientificità nell’educazione e l’importanza dell’utilizzo di tale metodo. Gli asili ricevettero una regolamentazione con la riforma Gentile del 1923 che diede loro l’unica denominazione di scuole materne, gestite da privati, a pagamento, e perciò riservate solo a bambini provenienti dalle famiglie più agiate.

Invece, con la legge n° 444 del 1968 venne istituita la scuola materna statale gratuita e non obbligatoria, con i relativi Orientamenti didattici varati l’anno seguente.


[1] The Class Photo, Contemporary Palinsest of the School Institution, L’Harmattan editions, Paris 2009.

[2] P. Burke, Testimoni oculari, il significato storico delle immagini, Carocci, Roma, 2017, p.15.

[3] P. Ortoleva, Una fonte difficile. La fotografia e la storia dell’immigrazione, in “Altreitalie”, n. 5, aprile 1991; M. T. Sega, La storia scritta con la luce. La fotografia come fonte, in “Quaderni di Erodoto”, 1988, n. 4, pp 58 e ss.

[4] Fototeca consultabile anche online all’indirizzo: www.fotoedu.indire.it.

[5] P. Giorgi, Immagini della scuola italiana, come nasce l’archivio fotografico INDIRE, in P. Giorgi, E. Franchi (a cura di), L’obiettivo sulla scuola. Immagini dall’archivio fotografico INDIRE, Giunti, Firenze 2012, p. 7.